Ultimamente mi sono interessato al curioso caso delle api del Capo sudafricane, e mi piacerebbe condividerla con voi, sia per condensare le informazioni che ho raggruppato fino ad ora che per rendervi partecipi di questo caso eccezionale della biologia degli imenotteri. Buona lettura!
INTRODUZIONE
Apis mellifera, “l’ape da miele occidentale”, è una specie di interesse economico e agricolo per l’essere umano allevata da millenni. È volgarmente detta “ape Europea”, in quanto i ceppi più allevati in tutto il mondo hanno origine in Europa (prima fra tutte la sottospecie “ligustica” di origine italiana), tuttavia la specie copre un areale molto più vasto dell’Europa, spingendosi fino all’Asia centrale e all’intero Continente Africano. Attraverso questo areale, essa si frammenta in varie sottospecie, ognuna tipica di una determinata località.Il Sud Africa ospita due di queste sottospecie: una è Apis mellifera scutellata, la più comune e diffusa, suonerà familiare a qualcuno di voi in quanto è uno dei progenitori delle così dette “api assassine” o “africanizzate”, è diffusa in quasi tutto il S.Africa e in buona parte dell’Africa orientale. La seconda sottospecie, Apis mellifera capensis, è invece endemica della regione del Capo, nell’estremo sud del Paese, e la sua distribuzione ricalca quella del bioma noto come “Fynbos”, ovvero la versione Sudafricana della macchia mediterranea (infatti la regione del Capo è caratterizzata da un clima mediterraneo, con inverni freschi e umidi ed estati siccitose). Esiste anche una fascia di sovrapposizione a nord del Capo nella quale entrambe le sottospecie sono presenti e si ibridano regolarmente.
IL SUPERPOTERE DELL’APE DEL CAPO
Tutti siamo familiari con la struttura di una colonia di api da miele: esiste una regina, in grado di deporre le uova, migliaia di operaie normalmente sterili che difendono la colonia, nutrono la covata e procacciano nettare e polline, e qualche manciata di maschi detti fuchi che hanno il compito di fecondare una regina giovane, in modo che essa ne utilizzi gli spermatozoi per fecondare le uova che deporrà lungo l’arco della sua vita. La fecondazione, che avviene in un volo nuziale, è necessaria per produrre femmine (sia operaie che regine), mentre la deposizione di un uovo non fecondato risulterà in un maschio.
In una colonia di api da miele “comuni”, quando una regina muore o sparisce, le operaie della colonia rimasta orfana selezionano alcune giovani larve femminili e le utilizzano per ottenere regine d’emergenza. Se la precedente regina sparisce senza lasciare uova, e quindi la colonia non ha larve femmina abbastanza giovani da convertire in regine, alcune operaie inizieranno a deporre le uova, ma non essendo fecondate potranno solo generare fuchi. Senza più rinnovo generazionale, la colonia si estinguerà in poche settimane. Queste colonie sono dette fucaiole e sono una grossa rottura di scatole per gli apicoltori.
Il bioma del Fynbos è battuto da forti venti primaverili. Questi venti disturbano i voli nuziali delle regine e talvolta le uccidono, rendendo altissimo il tasso di orfanità delle colonie di api del Capo. L’evoluzione, che vede e provvede, ha dunque donato ad alcune operaie di ape del Capo la capacità di clonare sé stesse all’occorrenza, deponendo uova femminili senza il bisogno di accoppiarsi. Questa capacità permette loro di disporre sempre di nuove larvette femminili con le quali sostituire la regina in caso di scomparsa. In questo modo, se la regina sparisce senza lasciare uova, la colonia non diventa fucaiola, semplicemente nuove regine verranno ottenute dalle uova clonali deposte dalle operaie, ripristinando l’ordine gerarchico nella colonia. Questa notevole capacità, chiamata partenogenesi telitoca, fu scoperta nel 1912.
BYPASSARE IL SISTEMA
Il superpotere che hanno queste operaie di capensis (non lo hanno tutte in una colonia, ma solo alcune dette clonali) permette alla sottospecie di prosperare nel Fynbos, ma ha un effetto collaterale: un’operaia capace di deporre uova femminili è anche capace di clonare sé stessa se da queste uova nascono altre operaie con la sua stessa capacità. In questo modo è possibile bypassare il normale sistema eusociale e creare una colonia di sole operaie che generano altre operaie, senza il bisogno di maschi né regine. Nel Fynbos questa cosa non succede, perché essendo le operaie clonali meno fertili delle regine, alla colonia conviene tenersi il sistema “tradizionale” con regina e fuchi e riservare la partenogenesi telitoca ai casi di reale necessità. Ma cosa succede quando si trasporta un’operaia clonale in un’area dove non ci sono colonie di api del Capo? Negli anni ’70 si teorizzò che se una cosa del genere dovesse accadere, essa si introdurrebbe in una colonia di api di un’altra varietà e si comporterebbe da parassita, generando cloni di sé stessa che potrebbero portare all’estinzione della colonia ospite. Negli anni ’90 la teoria divenne pratica, quando degli apicoltori introdussero l’ape del Capo nella provincia del Gauteng, fuori dal loro areale naturale e dentro quello dell’ape scutellata.
LA PIAGA DELLE CAPENSIS
Nel 1990, una singola operaia clonale di ape del Capo si è ritrovata spaesata nel Gauteng, a centinaia di km dal suo amato Fynbos. Si è introdotta in una colonia di ape scutellata, la sottospecie locale, e ha fatto quello che sapeva fare meglio: ha prodotto uova che si sono sviluppate in operaie cloni, che hanno poi fatto la stessa cosa. Nel giro di alcune settimane, la colonia di scutellata si è ritrovata migliaia di capensis che invece di foraggiare deponevano uova tutto il tempo, diminuendo l’importo di polline e nettare, e causando per di più la morte della regina di scutellata, che le capensis vedono come una competitrice riproduttiva. Col passare del tempo la colonia ospite collassa sotto il peso di tutte quelle cloni di capensis da mantenere, estinguendosi completamente nel giro di qualche mese. A quel punto le capensis abbandonano la colonia ormai distrutta e ne cercano altre, ripetendo lo stesso copione, insediandosi e riproducendosi come dei virus. Nel 1991, cloni di cloni di cloni di cloni di cloni di quella singola operaia hanno portato alla distruzione, nel Gauteng e zone limitrofe, di oltre 30.000 colonie di scutellata. Il fenomeno è stato ribattezzato la piaga delle capensis, e severissime contromisure sono state adottate per limitarne i danni, come alveari-trappola e severissime leggi.
Questa linea genetica di cloni di cloni di cloni di cloni di cloni di cloni di cloni di una singola operaia iniziale continua ancora oggi, dopo 30 anni, ed è fra le principali avversità dell’apicoltura del Gauteng e regioni circostanti. Per legge, oggi, se un apicoltore si rende conto di avere le capensis in una delle sue famiglie di scutellata, è tenuto a distruggerla per evitare che esse si diffondano.
La distruzione non è facile: se la regina delle scutellata è ancora presente, si può provare a separare le scutellata in una nuova arnia e bruciare quella vecchia per distruggere la covata di capensis. Se invece la regina è già andata e la colonia è invasa dalle capensis, l’unica è chiamare un disinfestatore per debellare l’intera colonia con insetticidi.
La cosa è resa ancora più difficoltosa dal fatto che appena si apre un’arnia invasa dalle capensis, alcune di esse tenderanno a scappare e trovare rifugio nelle arnie vicine, infettandole a loro volta. Il problema è limitato al Sud Africa, ma se la capensis fosse introdotta in Europa o in altre località, potrebbe diventare una seria minaccia all’apicoltura locale. Fra l’altro sarebbe perfettamente in grado di sopravvivere nel clima Italiano, che è pressoché uguale a quello del Capo a parte per le stagioni sfasate, per cui l’unica è sperare che le capensis non vengano mai Introdotte qui. Basta una sola operaia clonale per generare un’intestazione che dura decenni.
Le operaie di capensis sono più scure di quelle di scutellata, hanno un addome tendente al nero, per cui in genere sono facili da riconoscere, come mostra la prima foto, ma non è sempre una differenza così ovvia. La loro colorazione scura è simile a quella di alcuni ceppi Europei, ciò significa che se venisse Introdotta qui probabilmente ci metteremmo un po’ ad accorgercene. Nella seconda foto la distribuzione sudafricana delle due sottospecie e la zona di overlap.
Fonti:
https://entnemdept.ufl.edu/…/misc/bees/cape_honey_bee.htm
https://www.honeyflow.com/…/pests-and…/cape-honey-bee
Video (in inglese) di un apicoltore del Gauteng alle prese con le capensis nel suo apiario: