Le zanzare sono un tassello essenziale delle rete trofica; libellule, pesci, uccelli anfibi, vari artropodi predatori, pipistrelli e altro ancora dipendono in larga parte dalle zanzare per il loro sostentamento alimentare.
Tra l’altro sono impollinatori importanti di tantissime piante e impollinatori esclusivi di altre. Senza le zanzare sul pianeta e non avremmo piante di cacao.
Quasi un milione di persone muoiono ogni anno a seguito delle zoonosi trasmesse dalle larve di zanzara, ma 8 miliardi sopravvivono grazie gli animali che se ne nutrono o alle piante che impollinano.
Sì ok, sono utili ho capito, ma non posso passare tutta estate a grattarmi per le loro punture.
Posto che eliminarle dall’ambiente sarebbe un grave danno anche per noi come possiamo diminuire il numero di punture che riceviamo da questi ditteri ematofagi?
Abbiamo messo a punto centinaia di rimedi, fisici, chimici e comportamentali alcuni molto efficaci, altri decisamente meno fino ad arrivare ad alcuni “rimedi” che sono in realtà delle vere e proprie truffe.
Questi principi attivi prodotti possono essere distribuiti come spray, stick cutanei, salviette umidificate e latti e gel da spalmare sulla cute.
Nota sulla Permetrina: la permetrina è un piretroide di sintesi estremamente efficace come insetticida ad ampio spettro, terribilmente inquinante e molto pericoloso per i gatti.
Per quanto abbia una azione anche come repellente, a livello Europeo è classificato come INSETTICIDA e non come REPELLENTE.
Quindi il BioKill, tanto amato da qualcuno, non è particolarmente gentile verso l’ambiente, verso i vostri gatti e nemmeno verso la nostra pelle coriacea. Se proprio volete usarlo, va spruzzato sui VESTITI e non sulla pelle, lo stesso dicasi per tutti i prodotti a base di DEET (vi ricordo scioglie la plastica, quindi non meravigliatevi se poi le plastiche trasparenti diventano opache).
Zampironi, Piastrine antizanzare (vape mat) e diffusori ambientali domestici a lunga durata (Vape Liquido 60 notti)
Zampironi e piastrine antizanzare contengono piretroidi.
Le piastrine e gli zampironi sono invece repellenti controindicati per persone asmatiche e allergiche, e se ne sconsiglia l’uso, come nel caso di repellenti a base di DEET, anche in presenza o nelle stanze di bambini sotto i 3 anni.
I diffusori ambientali a lunga durata come il Vape Liquido 60 notti sono a base di Pralletrina, un piretroide insetticida ben tollerato dai mammiferi e uccelli, ma estremamente tossico per insetti (incluse le api) e pesci.
Negli ultimi decenni, con il consolidarsi della sistematica biologica attorno ai principi filogenetici (cladistici), si sta assistendo ad un progressivo abbandono dell’uso dei ranghi (o categorie tassonomiche) propri della classificazione tradizionale linneana, come famiglia, ordine, classe. Di questa scelta è raccomandabile tenere conto.
Se il lavoro non ha carattere tassonomico, è preferibile evitare di menzionare il rango del taxon citato.
I mammiferi contano circa 5000 specie piuttosto che la classe dei mammiferi conta circa 5000 specie
Castanea sativa appartiene alle Fagaceae piuttosto che Castanea sativa appartiene alla famiglia delle Fagaceae
Si raccomanda di evitare – soprattutto nei lavori di carattere non tassonomico – l’inserimento nel testo (compresi gli eventuali elenchi di reperti) di ‘tabelline’ che riportano l’intera gerarchia dei taxa sopraspecifici in cui ciascuna specie citata è inserita – come nell’esempio che segue, relativo a una singola specie, che può essere ridotto alla semplice citazione del nome scientifico di quest’ultima (Canis lupus Linnaeus, 1758).
Phylum Chordata Subphylum Vertebrata Classe Mammalia Ordine Carnivora Famiglia Canidae Genere Canis Linnaeus, 1758 Specie Canis lupus Linnaeus, 1758
Sono naturalmente accettabili (e spesso necessari) gli elenchi articolati in rubriche, come nell’esempio seguente:
Il nome scientifico delle specie animali o vegetali di cui si parla va sempre indicato per intero la prima volta che viene usato nel testo e, se vi compare, anche nel titolo della tesi o dell’articolo.
Caenorhabditis elegans; Drosophila melanogaster; Arabidopsis thaliana e non C. elegans, D. melanogaster, A. thaliana, e nemmeno Drosophila [se si riferisce a Drosophila melanogaster e non al genere Drosophila nel suo complesso] o Arabidopsis [id.]
I nomi di genere e di specie vanno scritti in corsivo (in tondo, però, il nome dell’autore e l’anno di descrizione, quando vengono precisati).
Homo; Rosa; Arabidopsis thaliana; Homo sapiens Linnaeus, 1758
Ugualmente in tondo va l’abbreviazione ‘sp.’ (plurale: ‘spp.’ in zoologia, ‘sp. pl.’ in botanica) che si aggiunge al nome di un genere quando non è necessario o non si sa indicare l’epiteto specifico (o gli epiteti specifici).
Carbus sp.; Rosa sp. pl.
In zoologia, il corsivo non va usato per i nomi di taxa di rango superiore al genere.
Hominidae; Passeriformes; Amphibia; Mollusca
In botanica, il corsivo si può usare anche per i nomi dei taxa di rango superiore al genere.
Rosaceae; Magnoliophytina
Nelle citazioni di una stessa specie successive alla prima, soprattutto se numerose e ravvicinate, il nome del genere può essere abbreviato.
Le specie rinvenute sono Geophilus pygmaeus, Clinopodes carinthiacus e Strigamia crassipes. Gli esemplari di C. carinthiacus sono stati rinvenuti ai piedi degli alberi.
Nell’applicare la norma precedente, occorre fare però attenzione alle possibili ambiguità. Se nel testo che precede sono state citate due o più specie appartenenti a generi diversi che iniziano con la stessa lettera, abbreviare il nome generico alla sola lettera iniziale è rischioso.
La discussione è qui limitata a poche specie: Carabus granulatus, Chlaenius velutinus e Cymindis humeralis. La presenza di Carabus granulatus [qui, preferibile rispetto alla forma abbreviata: C. granulatus] suggerisce che…
In una elencazione di specie appartenenti allo stesso genere, anche se non già citate in precedenza, il genere sarà abbreviato per tutte quelle che seguono la prima.
La fauna di Cipro include, tra gli Staphylinidae, Oxytelus laqueatus, O. piceus, O. sculptus, Platystethus arenarius, P. brevipennis, P. cornutus etc.
È di regola raccomandabile la specificazione dell’autore e dell’anno di descrizione della specie. Questo è necessario nei lavori di carattere tassonomico e fortemente raccomandabile in quelli (ad esempio, di natura faunistica o floristica) in cui si citano molte specie. Non si usa specificare autore e anno, invece, nei lavori che trattano solo di una specie modello, come Drosophila melanogaster.
A parte il caso di lavori di carattere tassonomico in cui vengono discusse le specie in questione, autore e anno vanno specificati una sola volta nell’intera tesi o nell’intero articolo: di norma, lo si fa in occasione della prima citazione, o in una sede opportuna come Materiali e Metodi, o in una tabella che contiene i nomi di tutte le specie citate.
Il Codice Internazionale per la Nomenclatura Zoologica prescrive l’interposizione di una virgola fra autore e anno e la collocazione di autore e anno fra parentesi nel caso in cui il binomio oggi in uso sia diverso dalla denominazione originaria della specie, perché quest’ultima è stata successivamente spostata in un genere diverso.
Cervus elaphus Linnaeus, 1758, il cervo rosso o cervo nobile europeo [la specie è rimasta nel genere Cervus, per cui il suo nome attuale è identico a quello usato da Linneo nel 1758]
Rattus norvegicus (Berkenhout, 1769), la pantegana o ratto delle chiaviche [descritto da Berkenhout nel 1769 come Mus norvegicus e successivamente collocato nel genere Rattus]
Le corrispondenti norme previste dal Codice Internazionale per la Nomenclatura di Alghe, Funghi e Piante sono più articolate. Se il binomio considerato accettato è identico a quello originariamente attribuito alla specie, al binomio stesso si fa seguire, senza parentesi, il nome dell’autore, di solito abbreviato, mentre l’anno viene omesso. Se, al contrario, il binomio accettato non è identico a quello originario, ad esempio perché la specie è stata in seguito spostata in un genere diverso, il nome dell’autore del binomio originario va messo, tra parentesi, subito dopo il binomio stesso ed è seguito, fuori parentesi, dall’abbreviazione dell’autore responsabile del nuovo binomio.
Canna indica L. e Heterotrichum pulchellum Fisch. sono esempi di nomi rimasti invariati. Arabis verna (L.) R.Br. fu descritta da Linneo nel 1753 come Hesperis verna; la specie fu poi trasferita nel genere Arabis da Brown nel 1812.
In zoologia, nel caso in cui un genere sia diviso in sottogeneri, il nome del sottogenere – se si ritiene opportuno citarlo, ma non è obbligatorio – viene posto, tra parentesi, fra il nome generico e l’epiteto specifico. In tale posizione non deve essere mai messo un eventuale sinonimo del nome generico.
Carabus (Megodontus) germari Sturm, 1815; ma non Plectogona (= Antroherposoma) vignai (Strasser, 1970)
In botanica, un genere può essere suddiviso in parti diversamente denominate, es. sottogeneri, sezioni o serie. Se specificato, il nome di una di queste divisioni va indicato come nel caso dei sottogeneri in zoologia; inoltre, il suo rango può essere specificato.
In zoologia, se all’interno di una specie vengono riconosciute delle sottospecie, il nome di queste viene espresso con un trinomio, come nell’esempio seguente. Per l’indicazione di autore e anno restano valide le norme precedenti.
In botanica vengono riconosciute suddivisioni della specie di rango diverso (sottospecie, varietà, etc.). Se specificato, il nome di una suddivisione della specie deve essere preceduto dall’indicazione del suo rango. In caso di autonimi (nome dell’entità sottospecifica identico a quello dell’epiteto specifico), il nome dell’autore si specifica solo dopo il nome della specie.
Aloe perfoliata var. vera L.; Salvia grandiflora subsp. willeana Holmboe Lobelia spicata Lam. var. spicata
Va ricordato che il codice internazionale che disciplina la nomenclatura zoologica regola solo i nomi relativi a specie, generi e famiglie (e loro eventuali suddivisioni: sottospecie, sottogeneri, tribù, sottofamiglie), ma non i nomi dei taxa tradizionalmente considerati di rango superiore alla famiglia; anche a quest’ultimi si estendono invece le norme del codice che regola la nomenclatura di piante e funghi.
Nomi volgari
Tutti i nomi volgari (sia di specie che di taxa di rango superiore alla specie) si scrivono in tondo.
gatto, felidi, margherita, angiosperme
In passato, il nome volgare della specie veniva scritto con iniziale maiuscola nel caso in cui ci si riferisse al taxon, piuttosto che ad un individuo della stessa.
Il Capriolo appartiene ai Cervidi ma ho osservato un capriolo che si nutriva di germogli
La distinzione, non sempre facile, è stata progressivamente abbandonata e oggi in genere si accetta che i nomi volgari delle specie e dei taxa sopraspecifici vengano sempre scritti con iniziale minuscola.
capriolo, cervidi, mammiferi
Il nome della specie va trattato come etichetta invariabile (senza plurale):
questa popolazione di orso bruno e non questa popolazione di orsi bruni
GBIF [diversi repertori, anche di nomi volgari in lingue diverse, e informazioni sulla distribuzione geografica; in progressivo sviluppo] https://www.gbif.org/
Checklist delle specie della fauna italiana [la versione in rete comprende tutte le specie animali terrestri, d’acqua dolce e marine conosciute per l’Italia intorno al 1990; aggiornamenti sono previsti a partire dalla metà del 2020] http://www.faunaitalia.it/checklist/
Portale della flora d’Italia [fornisce l’accesso a schede, con foto e dati di distribuzione geografica, per tutte le specie di piante vascolari d’Italia] http://dryades.units.it/floritaly/
Norme che disciplinano la nomenclatura
International Commission on Zoological Nomenclature. 1999. International Code of ZoologicalNomenclature (4th ed.). London: The International Trust for Zoological Nomenclature.
Turland, N. J. et al. (eds.) 2018. International Code of Nomenclature for algae, fungi, and plants (Shenzhen Code) adopted by the Nineteenth International Botanical Congress Shenzhen, China, July 2017 Regnum Vegetabile 159. Glashütten: Koeltz Botanical Books.
Lapage, S. P., Sneath, P. H. A., Lessel, E. F., Skerman, V. B. D., Seeliger, H. P. R., & Clark, W. A. (1990). International code of nomenclature of bacteria. Washington, DC: ASM Press.
Questo documento, redatto da Alessandro Minelli, tiene conto degli utili suggerimenti di Moreno Clementi e Giuseppe Fusco
Oggi vi parlo di un argomento che volevo affrontare da tempo. Molti fra voi sapranno che gli imenotteri sono il gruppo di animali che mi interessa ed appassiona maggiormente, ma un’altra mia passione è la biologia evolutiva. Quale miglior modo per unire questi miei due interessi se non parlando del singolare percorso evolutivo degli imenotteri? Ne sono personalmente affascinato, non solo perché tale strada è molto ricca di “colpi di scena” e adattamenti pazzeschi, ma anche perché offe numerosi esempi di fenomeni evolutivi poco discussi ma affascinanti come ad esempio l’exaptation, di cui parleremo in seguito nel dettaglio.
Il nostro percorso inizia nel Permiano, circa 280 milioni di anni fa. All’epoca, l’antenato comune di tutti gli imenotteri era un esserino dall’aspetto anonimo le cui larve, provviste di zampe, pseudozampe e una buona locomozione, potevano tranquillamente passare per bruchi. Tali larve si cibavano di materiale vegetale, primariamente getti e germogli verdi, che sgranocchiavano dall’esterno o nei quali scavavano piccole gallerie. Utilizzando l’odierna classificazione tassonomica, tale esserino era un Synphyta (sinfite), ovvero un imenottero con torace e addome fusi assieme a formare un blocco corporeo pressoché unico, con cuticola morbida e al termine dell’addome una formazione tozza e corta ma anche molto rigida, che l’organismo utilizza per incidere gli steli delle piante e deporre le uova in queste incisioni.
Inizialmente non vi fu molta diversificazione, ma dopo la più grande estinzione di massa della storia della Terra, che aprì molte nicchie ecologiche nuove ma segnò anche la fine del Permiano e l’inizio del periodo Triassico, avvenne una rapida radiazione adattiva che portò all’evoluzione di numerosi gruppi con specializzazioni diverse. La radiazione adattiva è quel processo che consente l’evoluzione di numerose specie in un lasso di tempo relativamente breve (pochi milioni di anni). Tale fenomeno è spesso innescato dall’apertura di una grossa nicchia ecologica tutta da colmare, come accade spesso proprio in seguito ad un’estinzione di massa. In alcuni gruppi che si originarono a seguito di questa radiazione, vi erano specie le cui larve non si nutrivano più di getti verdi delle piante, ma dello stesso legno di tronchi e rami: ad esempio il gruppo noto come Siricoidei. a questo punto le larve degli imenotteri iniziano ad abbozzarsi, perdono le zampe e le pseudozampe, perdono buona parte della loro mobilità.
La vita di una larva di Siricoideo è abbastanza frugale ma onesta: nasci, ti scavi una galleria nel legno, mangi legno la mattina, mangi legno la sera, fai una galleria qua, fai una galleria là, ogni tanto fai la cacca, poi quando sei pronto ti crei un bozzolo formato dalle tue stesse feci nel quale affronti la fase pupale, e dopo un po’ di tempo ti trasformi in un esemplare adulto e svolazzante pronto a usare un organo stretto e rigido, l’ovopositore, per trovare altro legno nel quale trapanare per deporre le uova. Ricordiamo però, che nell’evoluzione va avanti chi riesce ad adattarsi meglio all’ambiente.
Adattarsi significa anche riuscire a nutrirsi adeguatamente, e il legno non è che sia proprio la colazione del campione… la cellulosa e la lignina sono difficilissime da digerire, serve per forza fare simbiosi con delle colonie di microrganismi che poi ti vivono nell’intestino, e la resa energetica non è mica altissima… nsomma, mangi per campare. Dunque potreste mai biasimare una larvetta di Siricide che fra un boccone al legno e l’altro, ogni tanto, giusto per cambiare un po’, tira un mozzico ad un’altra larva che le capita a tiro? ma sì, è un’indulgenza sporadica, una tantum, dai, chiudiamo un occhio per questa volta, oggi mangio mio cugino e domani torno a mangiare legno, che vuoi che succeda…
Beh succede che nasce una categoria di Sinfiti, gli Orussidae, le cui larve ben presto imparano a nutrirsi solo di larve di altri sinfitiMamma Orusside cerca una larva bella succulenta, usando le tracce chimiche lasciate dalle feci di tale larva disseminate in giro. Una volta trovata, vi depone un ovetto vicino, o magari proprio sopra, o perché no, anche dentro, tanto l’ovopositore se sai come manovrarlo può fungere un po’ anche da ago ipodermico. Quando la larva dell’Orusside emerge, essa si trova già un banchetto riccamente proteico li a portata di mano e divora la larva ospite. Signore e signori, ecco che nasce il parassitoidismo!
R I V O L U Z I O N E. La strategia di mamma Orusside riscuote un successo enorme, a quanto pare parassitare un’altra specie è molto più vantaggioso in termini calorici che mangiare legno, chi l’avrebbe mai detto! Ma aspetta un momento… la fuori ci sono anche un sacco di altri insetti con larve succose e ricche di proteine, ci sono i coleotteri, ci sono i lepidotteri… sta a vedere che posso parassitare anche loro?? E così, altra enorme nicchia ecologica da colmare, altra radiazione adattiva, si evolve una quantità scandalosa di nuove specie di parassitoidi.
Sembra proprio che questa strategia riproduttiva sia perfetta, così perfetta che emergono addirittura parassitoidi degli stessi Orussidi! Il cugino di primo grado dell’Orusside, tale signor Apocrito, che è anch’esso un parassitoide ma non è mica scemo, evolve un modo per far sì che le sue larve non vengano rintracciate da altri parassitoidi: la stipsino, davvero: dal momento della nascita fino a poco prima di impuparsi, la larva dell’Imenottero Apocrito è priva di ano. Mantiene tutti gli scarti digestivi dentro il corpo, per evitare che l’aroma delle sue feci attiri cugini indesiderati.
Gli Apocrita sono dei rivoluzionari, sviluppano anche un’interessante novità: al fine di manovrare meglio l’ovopositore -anche perché inoculare uova in un ospite semovente è un lavoro certosino che richiede una precisione più che chirurgica- sviluppano una strozzatura nel mezzo del corpo, fra il primo e il secondo segmento addominale. Il primo segmento rimane fuso col torace, nella parte anatomica detta propodeo, mentre fra quest’ultimo e il resto dell’addome si genera un “vitino” ristretto chiamato peziolo. Apocrita significa proprio questo, dal Greco Apokriton che significa separato. Il peziolo non solo rende più facile l’inoculazione di uova all’interno dell’ospite, ma stabilizza anche il volo. Infatti a che alcuni Ditteri, abilissimi volatori, l’hanno evoluto indipendentemente. Alcuni ditteri hanno anche evoluto il parassitoidismo. Insomma, sono un po’ copioni dai.
Bene, ora che la radiazione evolutiva dei parassitoidi è compiuta, e gli imenotteri hanno trovato il modo perfetto per vivere, ovvero a spese di altre specie, ci si può godere in pace il resto del Mesozoico: giusto in tempo per guardare l’ascesa e il dominio dei dinosauri, che fino ad ora erano ancora insulsi prototipi!
E invece no! Perché l’evoluzione non si ferma mai! Non esiste la perfezione, la vita è cambiamento. Alcuni Apocrita, precisamente nel gruppo Aculeata, caratterizzato da un ovopositore retrattile, hanno notato che per aumentare le chances di successo della loro prole si può costruire un nido.. ma nulla di troppo elaborato, che so, una celletta di fango, un buco nel terreno… e murarci vive le prede in compagnia delle proprie uova. Tecnicamente non si parla più di parassitoidismo, ma di una forma un po’ contorta di predazione. Ed è qui che troviamo l’exaptation: dal momento che non è più necessario inoculare l’uovo nell’insetto ospite, perché tanto chiuso nel nido mica scappa, non serve più avere un ago che sporge dalle parti basse. L’ovopositore perde la funzione per la quale la natura lo ha disegnato. E quindi che fa, sparisce? eh no! perché è molto più facile murare viva una preda se questa è anestetizzata… Si insomma, collabora meglio. Capite già dove vado a parare? è così che l’ovopositore diventa un mezzo di inoculazione non delle uova, ma del veleno. Un veleno blando, che serve solo a tramortire le prede, nulla di troppo elaborato per ora… ma sempre veleno è!
Ridendo e scherzando, anzi, ridendo e predando, siamo già nel bel mezzo del Giurassico (200-150 milioni d’anni fa). Alcuni Apocrita predatori hanno notato che ultimamente alcune delle loro prede sono sporche di questa strana robetta gialla… com’è che si chiama, polline? bleah che schifo, sa di polvere, meglio dare una lustrata alle prede prima di metterle nel nido. Dicevamo? ah sì, i predatori col nido. Inutile girarci intorno, l’unione fa la forza, così ben presto alcune specie di predatori solitari inventano forme primitive di cooperazione. Hanno questa strana idea in mente che se parte della prole, invece che andar via a formarsi il proprio nido, resta ad aiutare la mamma a crescere altra prole, le possibilità di successo della famiglia aumentano. Avrà fortuna questa loro strampalata idea? boh, staremo a vedere.
E siamo nel Cretaceo (150-66 milioni d’anni fa). L’era di picco dei dinosauri più noti e fighi. Le angiosperme stanno diventando predominanti, fiori ovunque, il polline diventa una presenza sempre più forte nella vita degli imenotteri predatori. La signora Anthophila, che essendo moderna e di larghe vedute non condivide il pregiudizio delle sue sorelle nei confronti di questa nuova sostanza, si è adattata ad usare prede ricoperte di polline. Un bel giorno si è accorta che il polline è altrettanto nutriente e proteico, ed è molto molto abbondante, anche perché non bisogna cacciare per ottenerlo, le piante lo danno gratis. Così fa una cosa pazza e assurda, abbandona la dieta carnivora e inizia a nutrire le sue larve con solo polline. Mah dai, non è così male. Sembra che la fortuna sia dalla sua part
BOOOOOOOM
asteroide, ciao ciao dinosauri. E mo’? è la fine? No. I fiori sono sopravvissuti all’estinzione, anzi si stanno diversificando un sacco in questo nuovo mondo post-apocalittico. Radiazione evolutiva delle api, tante nuove specie che si specializzano in vari modi per raccogliere il polline, alcune sulle zampe posteriori, altre sulla pancia, certe addirittura non contente si mettono a raccogliere anche il nettare. Per ora sono tutte solitarie, fin quando ad una di esse viene la brillante idea di mettere su famiglia. ricordate le vespette predatrici di prima, che volevano creare una società? beh l’idea non è proprio brutta, e il sistema aplodiploide di determinazione del sesso, condiviso da tutti gli imenotteri e che ha la peculiare conseguenza di rendere ogni femmina più genticamente imparentata alle proprie sorelle rispetto che alla propria madre, sembra agevolare la comparsa di una cooperazione eusociale: regina riproduttrice; operaie sterili, sorelle che collaborano fra loro alla crescita di altre sorelle; maschietti sporadici giusto per mescolare i geni ogni tanto. L’idea ha un successo tale che avviene un’altra mini radiazione evolutiva nel corso del Cenozoioco, l’era corrente, che porta alla nascita di gruppi interi di api eusociali quali i Meliponini, gli Euglossini, i bombi e in fine l’ape mellifera. Il materiale di nidificazione non è più l’obsoleto fango, ma la versatile cera prodotta da ghiandole sul loro stesso corpo.
Nel frattempo anche le vespe di prima hanno intrapreso una strada simile, hanno scoperto che l’unione fa davvero la forza, e che il super-organismo può fare cose che sono impossibili per il singolo individuo. Tant’è che fra Cretaceo e Paleogene l’eusocialità, oltre che nelle api, si è evoluta ben tre volte: prima nei Formicidae, anche dette formiche, la cui casta operaia ha perso le ali. Poi altre due volte nei Vespidae.
Vogliamo parlare dei Vespidae? beh che dire. Innanzitutto, come appena accennato, sono arrivati all’eusocialità due volte indipendentemente: la prima volta negli Stenogastrini, un gruppo limitato al Sud Est Asiatico, la seconda volta nell’antenato comune a Vespini e Polistini, fra cui annoveriamo i famigerati calabroni e le vespe “classiche” che noi tutti conosciamo. Ma non solo! alcuni di essi, i Masarinae, sono arrivati alla stessa conclusione degli Anthophila: hanno abbandonato lo stile di vita da cacciatori in favore ad una dieta basata sul polline, e ora vanno in giro a farsi chiamare “Pollen wasps”
Ma volete sapere qual è la parte sorprendente di tutto ciò? per ricostruire la storia evolutiva degli imenotteri non abbiamo bisogno di andare a cercare fossili: abbiamo ogni passo del loro percorso nel nostro giardino, ancora vivo e vegeto. esistono ancora tanti sinfiti che mangiano le piante. Esistono ancora tanti (ma proprio taaaaanti) parassitoidi che inoculano uova nelle loro vittime. Esistono ancora un sacco di predatori solitari, o di specie presociali.
Non voglio che passi il messaggio che l’evoluzione di questi organismi sia stata una scala a progressi dove ogni tappa è stata un miglioramento della precedente in termini assoluti. Tutte le strategie di vita che ho descritto, dal sinfita sempliciotto del Permiano fino ai Masarinae odierni, sono strategie vincenti ancora oggi adottate da gruppi che possiamo osservare facilmente. Allego una carrellata di foto delle guest stars di oggi, a partire dai gruppi con stile di vita più “ancestrale” per finire con quelli più “sofisticati”.
Grazie per il vostro tempo e per essere arrivati in fondo a questo gigantesco post
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